Giovedì 23 novembre 2023, presso la Sala dei Cavalieri di Palazzo Ridolfi, è stato presentato il libro della professoressa Maria Antonella Grillo, docente di Scienze Umane del nostro liceo, dal titolo “Dhuoda, figlio mio indirizzo a te questo scritto”.

Dhuoda è l’autrice del “Liber Manualis“, uno dei primi trattati di pedagogia dell’epoca carolingia che la nobile indirizzò originariamente al primogenito dopo che se ne era dovuta separare con estremo dolore. In esso nozioni pedagogiche e teologiche fanno da sfondo al suo piccolo-grande personaggio, capace di affrontare molteplici temi e arrivare fino a noi. 

Seppur non vi sia in tutto il libro un singolo cenno all’emancipazione e all’indipendenza femminile, questi valori trasudano dalle pagine.  Dhuoda non si paragona ad alcun uomo, non cerca di eguagliare l’altro sesso o di vendicarsi contro di esso, ma è inequivocabile una sottile e stigmatizzata liberazione da un totale controllo maschile, che non permetteva alle donne nemmeno di custodire un loro pensiero, nemmeno quando si trattava di educare i propri figli partoriti con dolore. 

Il prof. Bortolozzo, la prof.ssa Bertelli e la prof.ssa Grillo il giorno della presentazione del libro nella sala dei cavalieri

Per ossimoro ciò che la rende un grande modello femminile è proprio il suo ruolo di madre, il ruolo che per anni le donne hanno denunciato come loro unica possibilità di realizzazione. Si aggira all’interno del proprio manoscritto come una vestigia, per nulla pretenziosa: la moralità che Dhuoda vorrebbe impartire al figlio non è forzata; non vi sono né obblighi né la presentazione di una personalità ostica. Un complesso contesto storico e culturale fa da cornice alla vita di questa nobile, che riesce nonostante le difficoltà ad adempiere al suo ruolo pur avendo sperimentato esperienze drammatiche, quali il tradimento del marito e l’allontanamento forzato dei due figli. 

Certo, Dhuoda rimane figlia del proprio tempo: come avrebbe mai potuto distaccarsi da una morale patriarcale? La donna nel Medioevo è stata rappresentata come angelo mediatore tra uomo e Dio, ma è stata anche diavolo: tentatore, pura carnalità, profanatore dell’alleanza con il divino, subdolo, simbolo del peccato e della stregoneria a cui spettano sassate, fiamme ed una bellezza che non gli appartiene mai, se non quando abbandona la sua corporeità, dove allora subentra senso di colpa e vergogna. Eppure Dhuoda non ha avuto paura, anzi si è riappropriata del proprio intelletto usandolo come strumento di rivendicazione dell’educazione dei propri figli e senza la pretesa di dover dimostrare qualcosa. 

Costruire e raggiungere è ciò che dobbiamo ancora oggi a noi stesse, senza temere che qualcuno possa strapparcelo via.

Elisabetta Aprili