Oggi essere individui autentici e coltivare relazioni spontanee è diventata un’impresa difficile o addirittura impossibile. Infatti, nel mondo in cui viviamo, le norme morali e sociali, le aspettative e i giudizi degli altri ci manipolano, condizionano e ci mettono costantemente sotto pressione.

È proprio la società che ci impone delle “regole non scritte” da rispettare, ci assegna dei ruoli e ci fissa in forme create apposta per noi, costringendoci ad identificarci in una personalità che in realtà non è genuina e non ci descrive. I rapporti perdono valore e tutto diventa innaturale e meccanico, perché ogni nostro comportamento è svolto con l’unico scopo di essere accettati dagli altri ed inclusi in un gruppo. Il nostro modo di relazionarci dovrebbe essere una scelta, ma ormai è diventato un’imposizione sociale e questo rende la nostra personalità sempre più insicura e fragile.

Di autenticità dei rapporti umani si è occupato a lungo lo scrittore Luigi Pirandello, che ha analizzato la crisi d’identità dell’essere umano, che si ritrova prigioniero nelle maschere assegnategli dalla società, dalla morale e dall’educazione e quindi è incapace di vivere davvero e di sapere chi è realmente. Pirandello paragona l’uomo ad uno specchio rotto: come quest’ultimo è frantumato in mille piccoli frammenti, l’io è diviso in molteplici forme e non si identifica in un soggetto unitario e coerente. Infatti ciascuno vede una parte diversa dell’io, e le parti dell’io sono tante quante le maschere che lui indossa, per cui ognuno di noi è ciò che appare agli altri. A questo fa riferimento anche il romanzo che l’autore pubblica nel 1926, intitolato “Uno, nessuno, centomila”: “siamo convinti di sapere chi siamo, quindi una persona, ma in realtà non siamo nessuno, perché alla fine, al di là dell’apparenza, non si trova una reale identità, ma centomila identità che coincidono con l’opinione che le persone che ci incontrano hanno su di noi, dal momento che ognuno vede un pezzo diverso del nostro “specchio frantumato”.

Ma cosa c’è davvero dietro la maschera? Secondo Pirandello un flusso di impulsi psichici in continuo cambiamento, proprio come è la vita, che a volte ci porta ad essere contradditori, confusionari o impulsivi. Ma quanto ancora potremo resistere fissati nelle maschere? Spesso questa oppressiva costrizione si traduce nell’uomo in stanchezza e desideriamo così tanto una boccata d’aria che scegliamo la fuga, proprio come fa il computista Belluca nella novella “Il treno ha fischiato”. Finalmente, dopo anni di costrizione nella “forma” di obbediente ragioniere, Belluca si accorge che non gli appartiene. Stanco di accettare passivamente un ruolo da parte della società, si libera di questa maschera attraverso l’immaginazione. La sua non è un’insana pazzia, come qualcuno potrebbe pensare, è solo un gesto liberatorio, risultato della ribellione. Secondo Pirandello, tuttavia, strappare la maschera inizialmente darà all’uomo una sensazione di libertà, ma successivamente ci si ritroverà isolati dal resto della società e privati di un’apparente identità nella quale riconoscersi. Alla fine, Belluca raggiunge un compromesso tra l’abbandonarsi consapevolmente alla follia in alcuni momenti e l’assumere altrettanto consapevolmente la maschera. Infatti impara ad accettare i ruoli imposti dalla società, ma decide anche di non sottostare ad essi in modo passivo.  Questo potrebbe rivelarsi l’unico modo che ci permette di vivere all’ interno della società senza però tradire noi stessi.        

Chiara Pira