Di fronte al nome di Leopardi molti studenti sospirano annoiati, pensando subito al “pessimismo cosmico“, alla sua concezione della vita e all’immagine di un poeta solo e triste. Ma se, per una volta, provassimo a guardare oltre questo stereotipo?
Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798 e fin da piccolo osserva il mondo dalla finestra del palazzo di famiglia, quel luogo che lui stesso definisce una “tomba dei vivi”. Costretto da problemi di salute a una vita rinchiusa nella sua abitazione, trova nei libri la sua unica vera via di fuga, un rifugio dove il suo animo sensibile può esprimersi liberamente.
Leopardi si sentiva spesso fuori posto, solo, incompreso. Ma chi, in fondo, non si è mai sentito così? In un’epoca come la nostra, iperconnessa ma spesso emotivamente isolante, le sue parole sembrano parlarci con sorprendente attualità. In un mondo che dà enorme importanza all’apparenza, Leopardi ci ricorda che il valore di una persona va ben oltre l’aspetto esteriore.
Colpito fin da giovane da una malattia, probabilmente la tubercolosi ossea, che lo segnerà nel corpo con due gobbe e una crescente intolleranza alla luce, Leopardi affronta con lucidità anche la questione del suo aspetto fisico. Nello “Zibaldone“, opera che raccoglie i pensieri e le riflessioni dell’autore, scrive che la sua sarà “una vita di continuo disprezzo di disprezzi e derisione di derisioni”, dimostrando un coraggio fuori dal comune.

Attribuzione: Giacomo Leopardi, Public domain, Wikimedia Commons
Non si lascia abbattere dalle offese, ma afferma che l’uomo, pur essendo finito, tende all’infinito. È proprio questo desiderio irraggiungibile a renderci profondamente umani: la ricerca della felicità perfetta, dell’amore eterno, della verità assoluta. Leopardi lo chiarisce con la sua celebre teoria del piacere:
“L’anima cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato.” – Zibaldone, (167)
Siamo condannati a desiderare ciò che non potremo mai avere del tutto. E Leopardi non solo lo capisce, ma lo dice senza paura. È vero: parla spesso di dolore, noia, illusioni che si infrangono. Ma non lo fa per autocommiserazione. Al contrario, il suo messaggio è coraggioso: affrontare la verità, per quanto dura, è più nobile che rifugiarsi nell’illusione. Anche davanti ad una Natura che si mostra “matrigna”, Leopardi intravede una possibilità: quella della solidarietà. Ne “La ginestra” scrive che, proprio perché fragili, gli uomini dovrebbero aiutarsi a vicenda nella battaglia quotidiana della vita.
Se Leopardi vivesse oggi, forse non avrebbe milioni di follower sui social, ma le sue parole ci colpirebbero lo stesso. Parlerebbe non solo dei problemi reali del crescere, dell’amare e del vivere, facendoci sentire compresi e accettati nelle nostre fragilità, ma anche di coraggio e solidarietà, perché dopotutto i veri eroi di questo mondo sono coloro che riescono a lottare e sorridere nonostante tutto. Lo farebbe senza filtri, con quella sincerità che oggi spesso manca.
Caterina Balint