Il 16 aprile 2025, insieme a una parte della nostra classe, abbiamo partecipato alla conferenza “L’imprevisto è la sola speranza. L’itinerario poetico di Montale“, tenuta dal prof. Bortolozzo e Paolo Fracasso.
L’incontro, tenutosi presso l’istituto “Sacra Famiglia” di Verona, è stato un’importante occasione per approfondire la vita, le opere e il pensiero di uno dei maggiori poeti del Novecento italiano, grazie agli interventi di esperti che ci hanno guidato alla scoperta del suo mondo letterario.
Nel panorama italiano, pochi autori hanno saputo esprimere il senso del limite e della negazione come Eugenio Montale. La sua poetica, riassunta nei celebri versi “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe”, nasce nel clima difficile dei primi anni del fascismo, che Montale affrontò apertamente, firmando nel 1925 il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” redatto da Benedetto Croce. Proprio questo anno rappresenta un anno cruciale per l’autore: a soli 29 anni pubblica “Ossi di seppia“, capolavoro che ancora oggi si rinnova grazie a nuove edizioni, come quella recentemente uscita per celebrare il centenario. La collaborazione con l’editore antifascista Piero Gobetti sottolinea ancora una volta il coraggio civile di Montale, un “outsider” per natura, incapace di adattarsi a un mondo che percepiva estraneo.
Montale costruisce la sua poesia sulla “certezza negativa“: sa ciò che non deve essere fatto, ma resta incerto su cosa fare. La sua eccellenza si trova nella pars destruens, la demolizione delle illusioni, più che nella costruzione di nuovi ideali. E proprio questa tensione tra negazione e desiderio percorre tutta la sua opera.
La produzione poetica di Montale si può idealmente dividere in due fasi: i primi tre libri -“Ossi di seppia“, “Le occasioni“, “La bufera e altro“- rappresentano una poesia alta, “di frac”; gli ultimi tre -“Satura“, “Diario del ’71 e del ’72“, “Quaderno di quattro anni“- abbracciano uno stile più prosastico, scritto “in pigiama o in abito da passeggio”, aprendo la strada a una poesia più narrativa.
L’esistenza, per Montale, è segnata dal senso di inadeguatezza. Si definiva un “outest”, sempre fuori posto, come racconta in poesie come “Falsetto“, dove osserva chi riesce a tuffarsi nella vita, mentre lui rimane a terra, esitante.
Ma se da un lato la sua poetica è intrisa di negazione, dall’altro non manca la speranza. Due sono i simboli che organizzano il suo immaginario: il “muro“, metafora dell’inevitabile e dell’ostacolo, e il “varco“, simbolo della libertà, della possibilità imprevista. La fiducia nell’imprevisto attraversa tutta la sua opera: “I limoni” celebrano il miracolo improvviso della bellezza nel grigiore quotidiano, mentre “Prima del viaggio” afferma che “un imprevisto / è la sola speranza”.
Nonostante il tono spesso apocalittico di poesie come “Piccolo testamento“, Montale riconosce una luce fragile e tenace nella catastrofe. La domanda di Italo Calvino -“Come possiamo sperare di salvarci in ciò che è più fragile?”- trova risposta nella resistenza silenziosa della poesia.
Anche nella reclusione dell’anima, come nel “Sogno del prigioniero“, la speranza non muore mai: “L’attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito”, scrive Montale, dove il “te” può essere libertà, amore o persino Dio.
Infine, una delle più toccanti dichiarazioni d’amore si trova in “Ho sceso, dandoti il braccio”, dedicata alla moglie Drusilla Tanzi. In quel gesto quotidiano di scendere le scale, ora divenuto vuoto per l’assenza, si condensa tutto il sentimento di dipendenza affettiva e intellettuale che legava il poeta alla sua compagna.
In conclusione Montale ci insegna che la poesia, anche quando nasce dalla negazione e dal dubbio, è sempre un atto di fiducia. Non si scrive per fuggire da se stessi, ma per cercarsi, per comprendersi, per riconoscere — anche solo per un attimo — la possibilità del miracolo.
Ilaria Vinco e Angela Pellicari